La prima considerazione che mi viene da fare riguarda il titolo: “Se Dio vuole”. È una frase spesso sulle nostre labbra, come pure “è volontà di Dio” e simili, ma quando noi pronunciamo queste parole, quasi sempre usiamo un tono rassegnato, alziamo le spalle o le braccia come se la volontà di Dio sia qualcosa che dobbiamo subire.

Per il cristiano, invece, dovrebbero essere pronunciate con una forte convinzione, perché per il cristiano dire “Se Dio vuole” equivale a dire: “se è nel suo progetto d’amore” e quindi “io lo accetto”, non lo subisco.

Non deve essere la rassegnazione a farcelo dire, ma un cuore di figli che hanno fiducia nel Padre e che, comunque vada, sono certi che Lui li ama.

Gesù Cristo ha fatto della volontà del Padre il cuore della sua esistenza fino a dire: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato”.

Mi pare che il senso vero che è in questo titolo sia stato espresso bene dal regista: trovo molto significativo il dialogo tra don Pietro e Tommaso davanti allo spettacolo della natura. Don Pietro cerca di fargli percepire la presenza di Dio, che è ovunque, che C’È… “nel vento che ti accarezza la faccia, nelle nuvole che prendono delle forme strane”, nella pera che cadrà quando sarà maturata, nel cercare qual è il tuo posto e che cosa fare per gli altri, perché “Dio non si accontenta solo di stare dentro una chiesa”. Questo Dio, attraverso le parole, ma soprattutto attraverso la vita di don Pietro, scaverà una piccola breccia anche nel cuore dell’ateo Tommaso, che si ritroverà a fare cose che non avrebbe mai pensato di fare.

Di cose da dire, di input da cogliere in questo film ce ne sarebbero a iosa, mi limito a fare solo qualche sottolineatura.

Per esempio fin dall’inizio emerge il senso di “onnipotenza” di Tommaso: “I miracoli non esistono, sono solo stato bravo”. Tommaso crede in se stesso, nella scienza, nella medicina, nella sua bravura di medico e basta. Lui è il migliore.

Lui è quello che la vita la salva sul serio e per questo la gente lo ringrazia tutti i giorni.

Questo suo senso di onnipotenza diventa anche “non rispetto” e addirittura sarcasmo e disprezzo nei confronti degli altri. Nessuno viene risparmiato:

- la moglie verso la quale ha scarsissima considerazione e che cerca compensazione nell’alcool;

- la figlia, considerata insignificante e il genero etichettato come “il pusillanime” o “l’ameba”;

- l’infermiera alla quale rivolge tutto il suo cinismo sferzante.

Il tutto condito, in ogni membro della famiglia, da un apparente perbenismo, da una falsa parvenza di felicità e compostezza.

Tutto questo falso equilibrio salta quando Andrea comunica la sua vocazione, la sua scelta di andare in seminario.

E qui c’è da mettere in evidenza un fatto: tra il falso allarme di avere un figlio gay e l’annuncio di un futuro figlio prete, risulta più inaccettabile questa seconda realtà.

Il “diverso”, ancor più del gay, risulta essere il prete.

Al genero che gli dice: “E’ andata bene” Tommaso urla con veemenza: “Noooo! Un figlio prete! Ma non scherziamo!”

Emerge il solito luogo comune: “Perché buttare tutta la propria vita a fare il prete?”.

L’essere prete viene considerato da questo padre “un mestiere anacronistico”, inutile, come quello di zampognaro.

È sempre stato abbastanza comune nella mentalità delle persone, nella realtà delle

famiglie, il pensiero che fare il prete o la suora è sprecare la vita; un figlio prete o una figlia suora sono l’equivalente di un figlio perduto.

Fa un po’ sorridere la domanda che la sorella fa ad Andrea: “Diventi prete e poi? Ti

metti in proprio? Apri una parrocchia tutta tua?”

Anche qui emerge il non capire il vero ruolo del sacerdote, il buttare tutto sull’utilità, il sacerdozio equiparato a un’attività commerciale…il non capire che, come dice Andrea,

è una scelta d’amore, l’incontrare qualcuno, Gesù, che dà senso alla tua vita.

Viene anche fuori dalle parole di Tommaso un’idea, anche questa abbastanza diffusa, di una Chiesa cattolica, considerata “l’istituzione più oscurantista che sia mai esistita sulla faccia della terra”. Su questo si potrebbe discutere molto a lungo…

Eppure proprio nella “guerra” che Tommaso si mette a fare a don Pietro per

“smascherare” il “losco” che secondo lui il prete nasconde e per impedirgli di “portargli via” il figlio, i suoi occhi cominciano ad aprirsi, il suo cuore comincia a mettersi in ascolto e tutta la sua persona comincia a mettersi in discussione.

Si colgono a un certo punto nel film tanti piccoli gesti che sono il segnale di questa

trasformazione: le coperte rimboccate alla moglie, la canzone di Gigi D’Alessio

ascoltata in macchina, il gesto di riconciliazione con la figlia e col genero, la cenetta romantica preparata per la moglie

Ma vorrei un attimo riflettere sulla figura di don Pietro.

Al di là della stravaganza di questo prete un po’ showman con la sua parlata

romanesca, col suo passato galeotto, c’è da dire che don Pietro annuncia Cristo e solo Cristo; quelle che dice non sono parole sue, non sono le sue opinioni, l’ostentazione di chissà quali studi fatti, ma solo il Vangelo puro. Don Pietro non ha parole sue, ma solo le parole di Gesù da dire, da annunciare, parla col Vangelo.

La sua vita, quello che fa e che dice, “intriga” Tommaso, lo incuriosisce, gli sfugge, gli è incomprensibile per la sua mentalità in cui non c’è posto per Dio.

Don Pietro è un prete che non ha paura di “sporcarsi le mani”. È bellissima la sua

immagine in tuta da lavoro, tutta sporca, mentre lui cerca di restaurare la chiesetta, di disincrostare lo sporco accumulato in tutti gli anni in cui la chiesa è stata inutilizzata.

Dice una bellissima recensione a questo film, pubblicata da Famiglia cristiana, che

possiamo anche vedere in don Pietro l’immagine di una Chiesa che cerca di liberarsi dalle incrostazioni del passato (rivediamo poi la spatola da muratore alla fine del film nelle mani di Tommaso, mentre cerca di togliere dal pavimento le incrostazioni di calce e sporcizia).

Nella Via Crucis al Colosseo del 2005, l’ultimo anno, anzi gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II – e chi non ricorda l’immagine del Papa santo davanti allo schermo con la croce stretta fra le mani?- l’allora cardinal Ratzinger al quale era stato affidato il commento delle 14 stazioni, in una di esse così commentava: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa … La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”

Don Pietro si sporca le mani e non solo restaurando la cappella, ma prendendo su di sé le miserie dei fratelli, facendosi carico delle loro sofferenze e fragilità. La sua vita non è fatta di apparenze, ma lui sta sempre accanto al fratello che ha bisogno, che è nei guai, non si tira indietro. Emblematica la scena in cui si fa consegnare lo stipendio dal giocatore di videopoker, per evitare che sprechi i soldi ricadendo nel vizio.

È un po’ presente nella figura di questo prete l’immagine della Chiesa desiderata e sognata da papa Francesco, che ci invita a uscire dall’odore stantio delle sacrestie per raggiungere le periferie del mondo, il mondo che non è quello a tanti chilometri da noi, ma è chiunque combatte quotidianamente con problemi, malattie, solitudini, miserie di qualsiasi genere.

Molto significativa la scena della croce che viene faticosamente sollevata da terra dalle mani di Pietro, il prete, e da quelle di Tommaso, il miscredente. Gesù Cristo ha bisogno anche di quelle mani.

Possiamo concludere la nostra riflessione con il finale di questa storia rimasto aperto: don Pietro forse è morto, o forse no, non è chiaro al 100%, ma in ogni caso ha lasciato intorno a sé vite nuove e diverse. Il distacco brutale, tragico fra don Pietro e Tommaso genera in lui una vita nuova: riscopre la natura, recupera gli affetti e forse…chissà…scopre Dio.

Vorrei che ci lasciassimo portando nel cuore le parole che abbiamo sentito in bocca a don Pietro nella sua spiegazione del miracolo del paralitico:

“Anche a noi manca qualcosa: non un piede, un braccio, una gamba, ma qualche volta è anche peggio. Ci manca la speranza nel futuro, i sogni…e allora, se avete fame, cercate Gesù, assaggiate la sua Parola e vi accorgerete che non vi mancherà più niente”.

Abbiamo da poco terminato la missione parrocchiale, con la stupenda esperienza dei momenti di preghiera e di meditazione quotidiana, con i centri di ascolto, con la catechesi di don Fabio Rosini.

Questo ci è stato fondamentalmente detto: Cercate Gesù e la sua Parola!

Tra poco inizierà il Giubileo della Misericordia, anno di grazia per tutta la Chiesa, ci prepariamo anche a vivere, a festeggiare nel 2016 i 50 anni di vita della nostra parrocchia. Quanti eventi di grazia! E allora…cerchiamo Gesù e la sua Parola! Non ci mancherà più niente!

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L'amore per il cinema ci ha portato a voler trasmettere la nostra passione per questa bellissima arte agli altri. Il nostro intento è quello di poter proporre qualsiasi tipo di film, perché dai drammatici alle commedie più spiritose e leggere si può prendere spunto per qualsiasi tipo di discussione e di riflessione. La nostra scelta opta per film recenti e per ora non verranno trattati i "classici"


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