Chiamatemi Francesco

Un film di Daniele Lucchetti. Italia 2015

Durata 94 min.

 

La storia di Bergoglio diventa metafora di un mondo diviso fra chi distoglie lo sguardo e chi sceglie di vedere. E in questo è supremamente cinematografica.

 

 

Trama

Jorge Bergoglio è uno studente come tanti nella Buenos Aires degli anni Sessanta, con amici e fidanzatina, quando decide di entrare a far parte dell'Ordine dei Gesuiti. Vorrebbe diventare missionario in Giappone ma non gliene viene data l'opportunità, perché da subito deve apprendere la virtù dell'obbedienza: sarà proprio questa a porlo di fronte alle scelte più importanti della sua vita, perché dovrà distinguere fra i doveri verso la propria coscienza e la sottomissione al regime dittatoriale di Videla e allo strapotere dei proprietari terrieri in una terra polarizzata fra grandi ricchezze e tanta, tanta povertà.

 

Scheda “My Movies”

Daniele Luchetti e il suo produttore, Pietro Valsecchi, si sono buttati nell'impresa di raccontare la storia di Bergoglio prima che diventasse Papa con lui ben vivo e presente in Vaticano, senza consultarlo e senza chiedere la collaborazione dell'istituzione ecclesiastica. Questo ha dato loro la (relativa) libertà di raccogliere testimonianze da una quantità di persone più o meno attendibili, di affrontare direttamente il capitolo più spinoso e controverso della vita dell'allora Responsabile provinciale gesuita, ovvero il suo rapporto con la dittatura argentina negli anni fra il 1976 e il 1981, e di prendere le sue parti dando credibilità alla versione della Storia che lo vede a fianco dei desaparecidos e dei preti militanti. Il che non significa che la sceneggiatura sorvoli sul fatto che Bergoglio ha tolto ad alcuni di questi ultimi la protezione dell'Ordine dei Gesuiti di fatto consegnandoli al regime, ma significa che concede al suo comportamento il beneficio di quella doppia lettura che riguarda gran parte della quotidianità sudamericana, ovvero la coesistenza di una condotta ufficiale e una ufficiosa, data dalla necessità di muoversi apparentemente all'interno delle regole per poi trasgredirle di nascosto seguendo la propria etica. Ed è attraverso un altro sdoppiamento che il film di Luchetti affronta il rapporto fra la "Chiesa classica", che il film non esita a descrivere come pavida e conservatrice quando non apertamente reazionaria e connivente con i poteri forti (fino alla delazione), e la Chiesa che guarda con simpatia alla "teologia della liberazione". Non mancano i riferimenti al misticismo, caro alla tradizione gesuitica e che in Sudamerica (come in una certa Europa "esoterista") ha da sempre i suoi convinti seguaci.

L'efficacia del racconto sta principalmente nell'aderenza della sua estetica a quella popolare latina, in rispettosa aderenza della forma al suo contenuto e all'etnia del suo protagonista. Luchetti si concede l'apparente elementarità "sudamericana" del racconto dipingendo un murales di larga accessibilità partendo da un inizio fortemente didascalico che diventa a poco a poco cinema.

Solo alla fine, nella scena della messa di Bergoglio fra i nullatenenti alla viglia della sua ascesa alla poltrona papale, Luchetti si concede uno stile fortemente autoriale, facendo lievitare la sua cinematografia in parallelo all'elevazione spirituale di un uomo che ha imparato il coraggio passando attraverso lunghe e dolorose mediazioni: un uomo che oggi si espone dal balcone più visibile del mondo dopo che per una vita ha invitato gli altri a "non esporsi".

La storia di Bergoglio diventa in Chiamatemi Francesco metafora di un mondo diviso fra chi distoglie lo sguardo e chi sceglie di vedere, e in questo è supremamente cinematografica. L'Argentina dei dittatori, così come quella dei latifondisti che tolgono le terre ai contadini, è un mondo anche visivamente diviso in un sopra e un sotto, laddove il sotto diventa prigione o rifugio, visibile o invisibile, a seconda di chi effettua l'opera di occultamento, e dei motivi alti o bassi per cui sceglie di farlo. E la compulsione del giovane Bergoglio a "fare quel che si può fare" diventa nella maturità quella capacità (quantomeno dichiarata) di spingersi alle estreme conseguenze del pensiero cristiano, negando ogni complicità con chi opera in direzione contraria.

Grande importanza nella formazione morale di Bergoglio e nella sua acquisizione di coraggio e consapevolezza è data in Chiamatemi Francesco alle donne. Senza calcare troppo la mano, Luchetti e il suo cosceneggiatore argentino Martin Salinas intessono la trama di figure femminili forti e anticonformiste, gettando i semi di quel pensiero papale tanto favorevole all'energia muliebre da far sperare nel futuro accesso delle donne al sacerdozio. La qualità portante del Bergoglio di Luchetti è infatti la propensione alla cura, più spesso identificata col materno perché comporta un obbligo inderogabile di protezione altrui.

Tratto da “Mymovies.it”

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