Lion – la strada verso casa

Un film di Garth Davis. USA, Gran Bretagna, Australia 2016

Durata: 129 min.

Una  trama  avvincente  che  ha  del l ’ incredibile,   pur  raccontando  una  storia vera   in  cui  arriviamo  persino  a  conoscere  i  volti  dei  protagonisti   reali. 

Pellicola  efficace,  coraggiosa  e  onesta  c on  il  pregio  di  far   sentire  lo spettatore  sempre  al  fianco  di   Saroo  -   prima   bimbo,  poi  adolescente  e infine  uomo   –   e di  insegnare  ad amarlo.

Nella  sua  spasmodica  ricerca,  il  giovane  ripercorrerà  le  tappe  di  un viaggio  inizialmente  fisico  poi  divenuto  interiore   per  riappropriarsi  della sua  vita  e  della  sua  vera  identità.  Quel  suo  errare  apre  alla  speranza  e aiuta  a   scoprire  come  l a  generosità  e  l ’ amore  finiscano  per  primeggiare sopra  ogni  cosa,  vincendo  separazione,  solitudine  e  dolore .   Scegliere semplicemente  d i  volere   per  superare  ogni  costrizione ,  annienta re  le distanze , vincere il tempo .  Affresco di  straordinari a umanità.

Trama

Nel  1986,  il  piccolo  Saroo  di  cinque  anni,  decide,  una  notte,  di seguire  il  fratello  più  grande  non  lontano  da  casa,  nel  distretto indiano di Khandwa, per trasportare delle balle di fieno. Non resiste, però,  al  sonno  e  si  risveglia  solo  e  spaventato.  Sale  in  cerca  del fratello  su  un  treno  fermo,  che  parte,  però,  prima  che  lui  riesca  a scendere  e  percorre  così  1600  chilometri,  ritrovandosi  a  Calcutta, senza nessuna conoscenza de bengalese e nessun modo per poter 

spiegare  da  dove  viene.  Dopo  una  serie  di peripezie,  finisce  in  un 

orfanotrofio e viene adottato da una coppia australiana. Venticinque anni dopo, con l'aiuto di Google Earth e dei suoi ricordi d'infanzia, si mette alla ricerca della sua famiglia. 

Scheda “My Movies”

Sulla carta, una storia  del genere pareva presentarsi da sola, restava da decidere se aver voglia o meno di piangere tutte le proprie lacrime per una versione ancora più incredibile, per quanto vera, e magari narrativamente più piatta, di  The Millionaire. I meno scettici si potevano  aggrappare  al  nome  del  regista,  Garth  Davis,  artefice  della  maggior  parte  dei bellissimi  episodi  di  Top  of  the  lake,  per  sperare  in  qualche  sorpresa.  Per  una  volta, 

invece, c'è di più. Tutta la prima parte, che vede protagonista il piccolo Sunny Pawar, ha un  che  di  magnetico.  Si  resta  incollati  alla  forza  d'animo  del  bambino,  al  suo  sguardo attento, al suo cuore gonfio, mentre  viene catapultato suo malgrado dal nulla della casa d'origine alla vastità della megalopoli e della sua disumanità. Davis racconta bene come lo sguardo di Saroo si aggrappa a quello degli altri bambini, in cerca di una fratellanza, sullo sfondo di un mondo adulto ambiguo se non meschino.

Lion  è perciò un oggetto particolare, un film "da Oscar" che dei film "da Oscar" evita più o meno tutti i soliti difetti. Un grande narrazione a lieto fine, sì, ma nel quale il risarcimento emotivo non è completo e lascia  dietro di sé e nello spettatore degli strascichi forse non contemplati; un film  in  cui  le  immancabili "rimonte"  di  sceneggiatura,  tipiche  del  genere, sono  gestite  con  eleganza  non  comune,  senza  che  quasi  che  ne  accorgiamo,  e  così  il destino  di  Saroo  è  raccontato  come  una  storia  nella  storia,  quella  di  un  cucchiaio immaginario  che  diventa  un  reale  e  anglofono  "spoon"  e  del  quale  si  deve  liberare, tornando ad usare il naan, il pane indiano, come un cucchiaio, per poter tornare a toccare il proprio sé. L'India stessa, infine, non è quella povera ma colorata e pop di  Danny Boyle, è più vera o per lo meno credibile: c'è infatti una ricerca di verosimiglianza, che si trova anche nell'estremo avvicinamento della coppia Nicole Kidman-  David Whenam alla coppia vera della storia vera che ha ispirato il film, che non è francamente richiesta ad un prodotto di questo tipo, però fa la differenza. 

Nella seconda parte, il discorso cambia: l'ellissi è molto, forse troppo, ampia, e affidare il riemergere del passato di Saroo ad un jalebi, come ad una madeleine proustiana, vuol dire tirare un po' la corda. Subentrano nuove tematiche, legate alla nuova famiglia, al destino della  madre  e  alla  figura  di  Mantosh,  il  fratello  "diverso",  l'altra  faccia  della  favola dell'adozione. Troppo materiale, forse; che sarebbe stato perfetto per lo spazio concesso ai personaggi tipico della nuova serialità, meno, invece, per un pezzo di film che comincia e  finisce  altrove.  Eppure,  la  seconda  parte  è  importante,  è  il  vero  viaggio  del  film, 

sviluppato  con  qualche  insistenza  di  troppo  (il  "ritorno"  ad  una  condizione   trasandata  e disperata del personaggio di Dev Patel non era affatto necessario), ma sempre al riparo dal pericolo, pur presente, di grossolani scivoloni nel mélo

Tratto da “Mymovies.it”

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